Sulle cime del biellese risiedono delle leggende di un popolo ancestrale fatato. Netro è un paesino della Valle Elvo, di quelli che ne conserva una riguardo le Fate dai Pe d’Oca, tradotto dal piemontese “dai piedi d’oca”. In questi luoghi è possibile ancora sentire il profumo del folclore, di un sogno selvaggio antico; camminando per i sentieri di montagna si può contattare un senso di libertà e aprire una finestra verso paesaggi di infinita bellezza e meraviglia, accompagnati dagli spiriti delle betulle, dei faggi, degli abeti e dei larici. Se saremo fortunati potremo scorgere anche falchi, corvi, cervi e caprioli, soprattutto nelle ore del tramonto o dell’alba quando ci troviamo, come narrano le tradizioni del passato, nella soglia tra i mondi. Inoltre se avremo il coraggio di raggiungere le cime, potremo anche trovare un altare, che si dice fosse “druidico”, formato da massi coppellati, tipici delle culture autoctone europee.

La Leggenda delle Fate dai Pe d’Oca

L’antica leggenda popolare delle Fate dai Pe d’Oca viene raccontata in versioni diverse con alcune piccole varianti. Una di queste narra che tanto tempo fa, a Netro, gli abitanti coltivavano orticelli e allevavano animali per il loro sostentamento. Un giorno notarono il fumo provenire dai monti vicini sul Roc delle Fate e scoprirono che lì viveva un popolo di stranieri, alti, biondi e riservati, che si nutrivano di radici, erbe e frutti selvatici. Nonostante la loro natura schiva, un coraggioso Netrese decise di portare loro delle verdure, ricevendo in cambio un sacchetto d’oro. La notizia si diffuse rapidamente, e presto gli abitanti iniziarono a offrire regolarmente i frutti dei loro orti in cambio del prezioso metallo.

Per rafforzare i legami, il Messo comunale invitò gli stranieri a una festa in loro onore. Questi, gentili, accettarono e scesero in paese con tuniche eleganti e molti sacchetti d’oro. Durante la festa, però, i Netresi organizzarono uno scherzo: allagarono la piazza, costringendo gli stranieri a sollevare le loro vesti, rivelando piedi d’oca. Gli abitanti risero e li derisero, imitandone i versi. Offesi e umiliati, gli stranieri abbandonarono Netro, e rientrarono nelle montagne da dove erano venuti, portando con sé il segreto dell’oro e giurando di non fare mai più ritorno.

La saggezza di montagna nell’uomo selvaggio e nell’anziana del lago

Rituale. Lago alpino della Vecchia. 1800m. Grazie. (22. 08. 2017)

L’arco pre-alpino biellese gode di altre due leggende che a mio parere hanno un valore sistemico in relazione al tema delle fate e del piccolo popolo. La prima è quella dell’uomo selvaggio, in piemontese l’om salvaj, che sempre nei pressi della Valle Elvo, appena sotto al Roc delle Fate, sul Tracciolino, possiede un’altra grotta, che abita e custodisce. La sua leggenda narra di questo uomo selvaggio, una figura sapienziale in grado di insegnare alle persone delle montagne come cagliare il formaggio, fare la toma e preparare il burro con delle erbe; e che un giorno oltraggiato da un contadino che tenta di bruciargli la barba, scappa e si rifugia dentro la grotta di montagna e sparisce senza farsi mai più vedere. In un’altra versione della leggenda – la quale appartiene alla Valle Cervo comunicante – l’uomo selvaggio si innamora di una filatrice, dalla quale avrà un figlio, e che scappa poi da lui in seguito a un inganno.

Roccia della Vecchia con l’orso presso il lago. Incisione del 1877, richiesta da Rosazza

Una seconda leggenda, invece, ci parla del Lago della Vecchia, nuovamente in Valle Cervo, prendendo un passo da Piedicavallo; che racconta di una fanciulla che si innamorò di un giovane guerriero. Dopo un matrimonio organizzato, viene allestito un altare su una roccia nei pressi del lago. Purtroppo la sposa attese il suo compagno notte e giorno, ma questo non arrivò. Il mattino seguente ricevette la notizia che il suo sposo era stato ucciso in un bosco. La giovane così gli diede la sepoltura in fondo al lago e lì rimase per tutta la vita assieme a un orso che le fece compagnia nella custodia del suo amore. Divenne infine anziana, ma fu sempre considerata una maga, una consigliera, un’erborista e una guaritrice in grado di preparare rimedi per tutti coloro che ne avessero bisogno. Alla sua morte fu sepolta anche lei in fondo al lago e gli spiriti dei due sposi si fusero insieme. Entrambe queste due storie emanano una fragranza profumata analoga ad altri miti e leggende del folclore europeo.

Quali sono le origini delle Fate e il seme di questo mito?

La storia delle Fate dai piedi d’oca ha radici antiche rintracciabili in altri racconti del folclore e in miti d’Europa. Il nome Fatae, oltre a rappresentare esseri della natura, ninfe e spiriti che presiedono luoghi sacri, è associato anche alle Parche romane, ovvero coloro che detenevano il potere del fato e che in un secondo momento vengono assimilate alle Moire greche, figure analoghe dell’antica Grecia, che possedevano la saggezza riguardo il destino. Si trattava delle tessitrici della vita, che assegnavano un destino ad ogni persona al momento della nascita. Neppure gli dei avevano potere in questo. Clòto era la più giovane e tradizionalmente associata alla nascita, reggeva il filo dei giorni per la tela della vita, Làchesi dispensava la sorte avvolgendo al fuso il filo che a ciascuno era assegnato e distribuiva la quantità di vita a ogni umano e infine Atropo, la più anziana, l’inesorabile o anche detta l’inflessibile, che lo tagliava con le forbici quando giungeva il momento di arrestare la vita, attribuendo il principio e la fine del tempo della vita, la nascita e la morte. Nella cultura norrena invece sono le tre Norne e dimorano presso la fonte sacra del destino ai piedi dell’albero cosmico.

Le Moire che tessono il filo della vita

Nella tradizione popolare italiana, secondo lo studioso di storia delle religioni Alfredo Cattabiani, la Befana, che viene a farci visita durante l’Epifania, è talvolta rappresentata con in mano un fuso e riassume in certi casi le fate del destino. Inoltre secondo il calendario contadino durante gennaio e nei mesi successivi, lascerà spazio alla fanciulla, la sua versione primaverile. Questo avvicendarsi stagionale avviene anche tra le figure irlandesi di Brigit, una dea triplice dea celtica del fuoco dell’ispirazione, della guarigione e dei fabbri, sincretizzata con Santa Brigida di Kildare e l’anziana Cailleach, signora delle nevi e gigantessa delle rocce e del freddo pungente.

Masso coppellato, altare “druidico” nei pressi del Roc delle Fate

Il folclore attorno alla festa di Brigit era ricchissimo, sia in Scozia che in Irlanda. Per esempio, nonostante le fonti non siano certe, sembrerebbe noto che durante la notte della sua festa Brigit visitava le case, e dalla direzione dei suoi passi, impressi sulla cenere del focolare con la forma del piede palmato del cigno, si traevano auspici per l’anno a venire: di felicità e prosperità se i passi si dirigevano dalla porta al fuoco; e di sventura se si dirigevano dal fuoco verso la porta. Nelle Gallie aveva come epiteti Belisama “colei che brilla molto”, Sulis (non ha traduzione precisa, ma il senso era collegato al sole), Brigantia “l’altissima” e Bricta “brillante”.

Tornando all’anziana Befana, nell’iconografia tradizionale appare come una vecchia con il volto fuligginoso, e gli occhi di brace, e secondo le leggende popolari, che alludono a lei come a una Grande Madre, viveva all’interno delle grotte di montagna. Tra la collezione di nomi che la identificano in tutto il panorama italico, c’è anche Berchta, attribuito anche a una divinità delle tradizioni pre-alpine il cui significato è “la splendente” o dama bianca, “la brillante”. Questa figura si ritrova perfino nelle fiabe dei fratelli Grimm, come un essere dalle capacità metamorfiche, con un grande piede, talvolta d’oca e talvolta di cigno. Spesso associato anche al piede piatto delle filatrici, che passavano molte ore con il piede sul pedale del filatoio. Berchta era inoltre una dea del raccolto, dell’agricoltura e dell’abbondanza, era colei che conduceva il Corteo delle Fate durante il solstizio d’inverno e si dice fosse in grado si saltare da una montagna a un’altra.

I Tuatha Dé Danann come raffigurati in Riders of the Sidhe di John Duncan (1911)

Nella mitologia celtica e irlandese si parla delle fate come il popolo delle origini, i Túatha Dé Dananndi cui Brigit faceva parte poiché figlia del Dagda, re del popolo – che nel loro ciclo mitologico, vengono coinvolti in diverse battaglie e una volta sconfitti, accettano di lasciare il dominio delle terre irlandesi per ritirarsi nel sottosuolo dell’isola e dentro le colline delle fate, dove da quel momento conducono una vita felice e un’esistenza immortale, subendo una metamorfosi e trasformandosi nelle creature soprannaturali del folclore i Daoine Sidhe, parole gaelico per definire il popolo delle fate.

Moltissime infine sono le leggende e i riferimenti simbolici e popolari sull’oca e sul cigno in tutta Europa. Spesso animali associati all’ultimo transito, all’esplorazione dell’Oltre, dell’Altromondo e al viaggio mistico dei sognatori. Per ulteriori approfondimenti vi invito a leggere due articoli di Robert Moss nelle letture consigliate a fondo pagina.

Qual è il significato di questa leggenda? Quali i benefici per la nostra anima in viaggio?

Tumuli di pietra nei pressi del Roc delle Fate

Chi può dire cosa voglia trasmetterci questo racconto leggendario? Forse le Fate dai Pe’ d’Oca erano davvero un popolo nordico giunto da oltre le montagne, svanito per questo sgarbo. O forse rappresentano il genius locii e le forze della natura che abitano rocce, alberi, pietre e quarziti, che possiamo percepire respirando il vento di questi luoghi meravigliosi. Chi passeggia da queste parti può percepirne la magia. Certamente, il percorso verso il Roc delle Fate dai Pe’ d’Oca è incantato e profuma di bellezza.

È un sentiero magico che conduce verso l’alto, liberando l’anima dai pesi. Il sole, anche quando è nascosto dalle nuvole, illumina il volto in alta montagna, permettendo di osservare il mondo da una nuova prospettiva. La luce, infatti, è fondamentale per rivelare le cose sotto una nuova visione. Guardare dall’alto consente di osservare i propri sogni, desideri e ruoli, aiutando a comprenderli meglio e conducendo a semplice un rituale di consapevolezza in relazione con la natura profonda delle cose.

Osservare se stessi dall’alto è un modo per evitare la sofferenza, comprendendo la transitorietà di ogni cosa. Evitare non significa negare, ma riconoscere e attraversare ruoli ed emozioni senza stagnarvi, grazie al potere del riconoscimento. Solo così possiamo scegliere di non identificarci con certe dinamiche, osservando la vita e gli eventi dalla prospettiva dell’anima. Non si tratta di una trascendenza assoluta: si sale fino in cima alla montagna e poi si scende, portando con sé i doni del cosmo e dell’anima. Forse l’oro delle Fate dai Pe’ d’Oca, è semplicemente la natura profonda dell’anima, che tendiamo a dimenticare nell’affanno quotidiano e la Terra invece ci ispira a rammentare e custodire nel cuore. La Terra parla ai sognatori di ogni tempo e offre oro a chi ha orecchie per sentire e occhi per vedere.

E così ci rimettiamo in cammino…
al prossimo viaggio…

Alberto Fragasso

Letture consigliate:

Viaggio a Tír na nÓg e i sogni leggendari: https://dreamwisdom.it/viaggio-a-tir-na-nog-e-i-sogni-leggendari/;
L’Uomo Selvaggio e il Potere della Natura: https://dreamwisdom.it/luomo-selvaggio-e-il-potere-della-natura/;
Cernunnos, Il Signore degli Animali: https://dreamwisdom.it/cernunnos-le-origini-del-signore-degli-animali/
Il Dio dei Sogni Aengus e la fanciulla-cigno (a cura di Robert Moss): https://dreamwisdom.it/il-dio-dei-sogni-aengus-e-la-fanciulla-cigno/;
I Sognatori Cigno del Pacifico Nord-Occidentale (a cura di Robert Moss): https://dreamwisdom.it/i-sognatori-cigno-del-pacifico-nord-occidentale/
Che la Benedizione di Brigid Sia con Te: https://dreamwisdom.it/che-la-benedizione-di-brigid-sia-con-te/