vademecum dell’amor proprio post cerimonia

Nel nome degli dei sono state fatte tante cose. Nel nome di Dio sono state uccise, mutilate molte persone, maltrattate, trasformate, obbligate a vivere in un certo modo, schiacciate nel loro potere. L’uomo ha perseverato questa attenzione sconsiderata nei confronti di Dio e dello spirito investendo con la testa su questi temi – perché di temi si tratta, non di devozione.

Quando facciamo esperienza del viaggio spirituale sia esso con un tamburo, che in una cerimonia di piante sacre, o d’altro ancora come danza-terapia e così via; facciamo esperienza del sacro. Si tratta di un sacro che ci attraversa, ed è un sacro che prepotentemente non ci domina, ma ci istruisce, ci insegna e lo fa solo se siamo aperti a questo processo. Se siamo lì per girovagare, serve a poco. Vagare a caso alla ricerca di un sostegno temporaneo non serve a nessuno.

Se voglio guarire devo avere chiaro questo intento. Cosa ho bisogno di vedere? Cosa è importante per me conoscere? Cosa non mi è chiaro? Cosa ho bisogno di comprendere? Queste sono domande sacre, perché ci aprono un ventaglio di possibilità di fronte a noi, una serie di risposte che possono essere utili per implementare nella vita di tutti i giorni.

Se voglio fare dei passi di guarigione devo implementare gli insegnamenti che ho ricevuto in una cerimonia, o in un viaggio sciamanico, o in un’esperienza di cura; altrimenti resterò sempre la stessa persona, e posso anche fare 20 cerimonie diverse, ma resterò sempre uguale. I sogni possono essere veramente molto labili; talvolta ci raggiungono, ma se non li scriviamo, la mattina si allontanano e ci salutano. Vanno oltre, ritornano dalla dimensione da cui sono venuti e il loro messaggio viene perso e dimenticato.

Se io voglio guarire, se io voglio sistemare un aspetto della mia vita, e voglio entrare in uno spazio di apprendimento come quello dell’esperienza sciamanica-onirica attraverso il contatto con gli spiriti o con il rituale; devo aprirmi a ciò che giunge e non sempre ciò che giunge mi può piacere. Quello che mi può raggiungere può anche spaventarmi, farmi paura; perché il potere personale a volte spaventa, soprattutto se non lo abbiamo mai guardato negli occhi. Certo posso farmi sedurre da tutta una serie di aspetti negativi, guardarmi attorno, vedere che il luogo non è perfetto, che la situazione in cui mi trovo non è coerente con chi sono, che i partecipanti o il gruppo non sono congruenti alla mia persona, e così via. Posso contemplare tutta questa serie di cose, ma mi serve davvero?

Posso cominciare a pensare alle altre persone come degli elementi di questa cura, come degli alleati. Se inizio ad accordarmi a quest’ottica, ogni essere che fa parte di quella cerimonia, di quell’esperienza, di quel seminario; sarà un alleato o un’alleata di lavoro; esattamente così com’è, con tutti i suoi contrasti, luci e ombre, e così lo sarà il luogo, e così lo sarà l’albero, il sole, la luna, il tempo atmosferico. Ogni cosa attorno a me sarà un’alleata di apprendimento, perché poi alla fine dei conti la vera cerimonia è la vita, e gli spiriti è lì che ci vogliono portare: a vedere quelle cose.

Vuoi vederle? allora sei pronto alla cura. Non vuoi vederle? potresti essere comunque pronta. Dipende da te ed è molto più semplice di quello che sembra. Un altro aspetto importante quando ci si trova di fronte a un passaggio di guarigione è riconoscere tutte le risorse che si hanno per affrontare il passaggio meticolosamente, mai dimenticandosi di se stessi.

E così ci rimettiamo in cammino…
al prossimo viaggio…

Alberto Fragasso